Le rotte dei migranti che attraversano il Mediterraneo per arrivare in Europa approdando sulle coste italiane e il costo in termini di vite umane che questo viaggio continua a comportare sono a tutti tristemente noti. Molto poco si parla invece di quella che viene definita la “rotta balcanica” dei migranti.
Mentre i migranti che arrivano in Italia via mare provengono principalmente dai paesi africani, i migranti in movimento lungo questa rotta sono principalmente siriani, afghani, iracheni, pakistani, iraniani, marocchini, con percentuali più basse di persone provenienti da altri paesi, ad esempio dal nord Africa. La situazione in Siria è drammatica, e anche se dell’Afghanistan e dell’Iraq ormai ben poco si parla, le guerre in questi paesi sono tutt’altro che terminate. In Iraq, in circa un anno e mezzo, i combattimenti hanno causato quasi 15.000 morti civili e generato milioni di sfollati, molti dei quali non sono espatriati ma si sono rifugiati nei campi profughi in altre zone del paese. In Afghanistan c’è una guerra permanete, che si è intensificata nel 2014, con un notevole aumento di vittime civili. Conflitti armati e violazioni dei diritti umani caratterizzano quasi tutti i paesi di partenza dei migranti.
Per i profughi la prima destinazione è nei paesi limitrofi, dove inizialmente attendono con la speranza che la situazione nel loro paese migliori e che possano far ritorno a casa. I siriani hanno atteso 4 anni nei campi profughi in paesi come il Libano prima di intraprendere la lunga e pericolosa marcia verso l’Europa. Da Libano e Iran si spostano in Turchia, passando poi in Grecia via mare e da lì, passando attraverso i Balcani cercando di raggiungere la Germania o i paesi scandinavi.
I governi europei considerano la questione quasi unicamente nel quadro delle strategie antiterrorismo. Nonostante non vi sia alcuna prova di un legame tra questi migranti e i sanguinosi fatti di Parigi, i mezzi di comunicazione stanno creando un clima di allarme ingiustificato che fa crescere la paura tra i cittadini, permettendo così ai governi europei di generare situazioni disumane, violando le leggi internazionali senza suscitare alcuna indignazione.
La reazione europea a questo massiccio movimento di persone, sempre di più si avvale della militarizzazione e del controllo delle frontiere. Il primo paese a blindare i confini è stata l’Ungheria, con la creazione di una vera e proprio barriera fatta di metallo e filo spinato. I ministri degli interni dell’Ue hanno inasprito le regole di Schengen, blindando i confini “esterni”. Ciò ha comportato la reintroduzione delle verifiche obbligatorie ai confini tra Croazia e Slovenia, anche per i cittadini dell’UE. Nel frattempo la Slovenia aveva iniziato la posa di quelli che chiama “ostacoli tecnici”, cioè kilometri di filo spinato, al confine con la Croazia, per “controllare” il flusso dei migranti. Tale barriera è tuttora oggetto di disputa tra i due paesi. In Slovenia i campi di transito per i migranti e l’intero percorso attraverso il quale transitano, sono vere e proprie zone militari (vedi Umanità Nova, numero 36 del 22 novembre 2015). La Macedonia dopo aver sperimentato lo stesso sistema sloveno per impedire il passaggio dei migranti, il 28 novembre ha iniziato la costruzione di una vera e propria barriera in stile ungherese, alta 3m e lunga 3 km. Nuove barriere sono in costruzione anche in Grecia e Bulgaria, ai confini con la Turchia, e al confine tra Austria e Slovenia.
Il 18 novembre la Slovenia ha cominciato a bloccare il passaggio sul territorio nazionale a tutti i migranti non provenienti da Siria, Afghanistan e Iraq. Poco dopo Croazia, Serbia e Macedonia hanno adottato la stessa politica. I governi dei paesi dell’ex-Jugoslavia stanno mettendo in atto una separazione discriminatoria e aleatoria, impedendo ad una parte dei migranti il passaggio sul territorio nazionale. I governi, con l’aperto supporto dei mezzi di comunicazione, tentano di giustificare questa approccio razzista dividendo i migranti in presunti “rifugiati” e quindi aventi diritto a chiedere asilo in Europa e presunti “migranti economici”, quindi a detta loro irregolari, non aventi diritto ad entrare in Europa e che dovrebbero essere rimandati nel paese di origine.
In questo modo nascondono due importanti questioni. In primo luogo presentare richiesta di asilo è un diritto individuale e universale. In base alla convenzione di Ginevra del 1951, chiunque ha diritto a presentare richiesta di asilo o altra forma di protezione, a prescindere dal proprio paese di origine. Inoltre molti dei migranti bloccati al confine con la Macedonia provengono da paesi nei quali sono tuttora in atto dei conflitti armati e che quindi anche solo in base al loro paese di provenienza, avrebbero pienamente diritto a protezione, in quanto non vi possono far ritorno in sicurezza. Di tutto questo UNHCR e altre organizzazioni umanitarie che gestiscono i campi di transito sono perfettamente a conoscenza, ma invece di prendere una chiara e ferma presa di posizione a riguardo, si limitano ad osservare e fare interventi locali di tipo umanitario per “tamponare” la situazione.
Questo tipo di trattamento razzista e arbitrario non è di certo esclusiva dei paesi balcanici, ma è frutto di accordi a livello di Unione Europea. Diverse organizzazioni avevano denunciato già ai primi di novembre preoccupanti casi di violazione dei diritti umani ai danni dei migranti approdati in Sicilia, durante le procedure di registrazione nel cosiddetto sistema “hotspot”.
Questo meccanismo ha avuto una serie di conseguenze a cascata, particolarmente gravi al confine tra Grecia e Macedonia. A Eidomeni, sul lato greco del confine, migliaia di persone sono rimaste bloccate e alcune sono rimaste lì per quasi due settimane. Si trattava per lo più di marocchini, pakistani, iraniani, bengalesi, eritrei e sudanesi. Tra loro c’erano anche famiglie con bambini. Si sono visti proibire il passaggio in Macedonia i quanto considerati ”migranti economici”. Alcuni Iraniani hanno iniziato uno sciopero della fame, arrivando a cucirsi la bocca in segno di protesta. Alcuni di loro hanno dovuto essere ricoverati in ospedale per aver perso conoscenza. Centinaia di persone hanno tagliato la barriera di filo spinato aprendosi un varco verso la Macedonia, dove però ad attenderli c’erano poliziotti in tenuta antisommossa che li hanno riportati in territorio greco. Il 28 novembre la situazione è peggiorata con le basse temperature e le piogge che hanno allagato le tende nelle quali i migranti dormivano. Fradici ed esasperati alcuni migranti bloccati hanno iniziato a lanciare sassi contro la polizia macedone, che ha risposto lanciando a sua volta sassi, lacrimogeni e granate stordenti. Molte persone sono rimaste ferite negli scontri. Il 3 dicembre un ventiduenne marocchino è morto folgorato per aver toccato un cavo sotto tensione sui binari del treno. Altre manifestazioni di protesta si sono svolte nei gironi successivi davanti alle barriere, che hanno portato alla totale chiusura del confine, a scontri tra migranti e polizia e tra perfino tra i migranti stressi. La polizia è intervenuta con uso massiccio di lacrimogeni e spray al peperoncino, intimando ai migranti bloccati di lasciare la zona. Alcuni migranti hanno obbedito e sono saliti sui bus che lì ha riportati nei campi allestiti ad Atene e Salonicco. Molti invece si sono rifiutati di lasciare il confine e hanno continuato la loro protesta. Il 9 dicembre, la polizia in tenuta anti sommossa è entrata nel campo, e dopo aver allontanato attivisti, volontari e giornalisti, ha sgomberato il campo con la forza, trascinando le persone fuori dalle loro tende, incluse le famiglie con bambini e obbligandole a salire sui bus diretti ad Atene e Salonicco. Sono stati segnalati casi di violenze e arresti, anche a danni di giornalisti. Il confine è stato poi riaperto solo per chi può provare di essere di nazionalità siriana, afghana o irachena.
I migranti avrebbero diritto a chiedere asilo in qualunque paese, ma la Grecia è nota a livello internazionale per non rispettare i diritti dei rifugiati. A causa dei blocchi ai confini i migranti non potranno fare altro che cercare rotte alternative, più pericolose, come attraversare la Bulgaria per raggiungere la Serbia, o raggiugere l’Albania e tentare di arrivare in Italia via mare. Lungo queste rotte potranno facilmente cadere nelle mani di trafficanti senza scrupoli.
Ma in ogni paese attraverso il quale riescono a passare, i migranti trovano non solo i controlli, i blocchi e la repressione degli stati, ma anche la solidarietà attiva dei cittadini e in particolare degli attivisti antirazzisti, che portano solidarietà concreta, senza limitarsi al mero aiuto umanitario. Oltre a sostenere una campagna per la riapertura dei confini, gli attivisti sono costantemente presenti nelle zone di blocco, nelle situazioni più critiche a dare supporto ai migranti, ma anche a documentare e denunciare ciò che sta accadendo. Il tutto in nome della libera circolazione e nella convinzione che nessuna legge e nessuna barriera mai potrà né dovrà fermare il movimento di migliaia di persone verso condizioni di vita più sicure e umane.
Ipazia